Il rischio vero è ora quello di una pesante guerra tra Israele e Hezbollah, l’organizzazione politico militare sciita libanese. Uno sviluppo di questo tipo avrebbe conseguenze disastrose per il Libano, già indebolito da una prolungata e pesantissima crisi interna.
Sul fronte di Hezbollah c’è la dipendenza stabilita dal leader dell’organizzazione Hassan Nasrallah tra i due fronti, quello di Gaza e quello del sud del Libano: se non cesseranno le ostilità a Gaza, i combattimenti proseguiranno anche in Libano.
Sul fronte israeliano c’è la tentazione dell’escalation per neutralizzare la minaccia rappresentata dal movimento sciita, che dispone di un arsenale importante. Ma Israele è in grado di combattere su due fronti contemporaneamente? Una guerra nel sud del Libano avrebbe una portata ben diversa da quella condotta attualmente dallo stato ebraico a Gaza, dove peraltro Israele non ha ancora raggiunto i propri obiettivi (ovvero l’eliminazione di Hamas).
A ciò si aggiungono la tensione del contesto politico interno israeliano, la posizione problematica di Benjamin Netanyahu (che sembra impegnato in un continuo rilancio nella sua strategia pur di non affrontare le questioni giudiziarie che lo attendono nel suo paese), e una società in conflitto tra i sostenitori di un accordo per liberare gli ostaggi e un’estrema destra violenta che vuole un’escalation. Lo scioglimento del gabinetto di guerra israeliano, arrivato il 17 giugno, è il riflesso di questa situazione, con il rifiuto di Netanyahu di integrare i ministri di estrema destra.