“La Turchia ha sempre sostenuto la politica delle porte aperte della Nato anche prima di questa guerra”. Sono le parole pronunciate dal ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu a New York dopo un colloquio con il segretario di Stato statunitense Anthony Blinken.
Una mano tesa che, tuttavia, porta con sé delle condizioni. “Noi capiamo le preoccupazioni di sicurezza di Finlandia e Svezia - ha spiegato il diplomatico turco - ma anche le preoccupazioni di sicurezza della Turchia devono essere rispettate”. Ma cosa vuole ottenere veramente il presidente turco Recep Tayyip Erdogan per dare il via libera all’ingresso di Helsinki e Stoccolma nella Nato?
Una delle preoccupazioni turche è di vecchia data: la questione curda. Lunedì scorso Ankara ha detto di aver chiesto l’estradizione da Svezia e Finlandia di 17 membri del Pkk, il partito dei lavoratori curdo considerato un’organizzazione terrroristica anche da Ue e Usa, e di 33 membri dell’organizzazione che fa capo a Fethullah Gülen, il predicatore islamico che vive negli Stati Uniti ed è accusato dai turchi di essere la mente del fallito colpo di Stato del luglio 2016.
Ma l’obiettivo di Erdogan potrebbe essere un altro: la riammissione della Turchia al programma sugli F35 da cui è stata tagliata fuori per aver acquistato dai russi il sistema di difesa aereo S400.
Un’altra possibilità è che Erdogan punti al riconoscimento internazionale del controverso accordo che ha fissato i confini marittimi tra Libia e Turchia in una regione ricca di gas naturale. Un’intesa che “giustifica” le trivellazioni di gas in aree che teoricamente si trovano nello spazio marittimo della parte ellenica di Cipro.
Occorre, inoltre, considerare un altro aspetto. La Turchia attraversa una profonda crisi economica, con un’inflazione che arriva al 70%, e il prossimo anno si terranno le elezioni. Erdogan ha più che mai bisogno di compattare l’opinione pubblica.