L’annuncio del viaggio di Vladimir Putin a Teheran, il 19 luglio, il secondo fuori dai confini russi dopo l’invasione dell’Ucraina (a fine giugno aveva trascorso due giorni tra Tajikistan e Turkmenistan) giunge a poche ore dall’accusa mossa da Jake Sullivan, consigliere nazionale Usa per la sicurezza nazionale: la Repubblica islamica starebbe per inviare a Mosca “qualche centinaio di droni” e “si prepara ad addestrare le forze russe al loro uso”. Teheran nega.
Punti che sollevano questioni: l’accusa precede di poco l’arrivo (il 13 luglio) in Medio Oriente di Biden, tra Israele e Arabia saudita, tour regionale dal chiaro sapore anti-iraniano. E se a Teheran Putin discuterà ufficialmente con il presidente iraniano Brahim el-Raisi e con il turco Recep Tayyip Erdogan di Siria, con la scelta della meta il Cremlino manda messaggi a Washington: alla Nato araba si oppone un altro asse. Di cui terzo incomodo (più o meno) è la Turchia che salta da una parte all’altra con disinvoltura.
Sarebbe stata la Russia a premere per il trilaterale, dicono fonti turche. Sul tavolo c’è molto, le relazioni economiche tra Mosca e Teheran e la stessa Siria dove Erdogan continua a garantire l’esistenza dell’hub jihadista di Idlib e si prepara ad ampliare l’occupazione militare del nord-est a maggioranza curda mentre l’Amministrazione autonoma del Rojava chiede al governo di Damasco (tenuto su in questi anni da russi e iraniani) di mettere insieme le forze per respingerla.