Agli occhi degli osservatori di mezzo mondo, quello che sta accadendo in Israele è una battaglia per la democrazia. In strada a manifestare, in particolare, contro la riforma della giustizia sono scese centinaia di migliaia di persone. Ma c’è qualcuno che ha un altro punto di vista. Secondo i palestinesi con cittadinanza israeliana, che non partecipano a queste mobilitazioni, non si tratta di manifestazioni per la democrazia.
I palestinesi rappresentano il 20 per cento della popolazione israeliana e sono rimasti fuori dalle manifestazioni antigovernative perché, ed è il punto di vista più condiviso tra i palestinesi, “i manifestanti non chiedono democrazia per tutti i cittadini del paese, ma solo per quelli ebrei, perpetuando così la disuguaglianza e l’occupazione”.
In questa visione dei fatti, Israele rappresenta una democrazia anomala e le proteste non riguardano la riforma giudiziaria. Piuttosto, secondo alcuni media medio-orientali, stiamo assistendo al culmine di una lunga lotta tra sionisti liberali e quelli religiosi (per sionismo si intende il movimento politico e l’ideologia volti alla creazione di uno Stato ebraico in Palestina; da Sion, nome della collina di Gerusalemme).
Ai milioni di palestinesi che vivono sotto il controllo militare israeliano sono, nel frattempo, negati molti degli stessi diritti accordati ai loro vicini israeliani. È la loro stessa esistenza a invalidare il dibattito sulla democrazia israeliana. Questione di punti di vista.