Dal 7 ottobre scorso Israele cerca di ristabilire con la forza il proprio potere di deterrenza nei confronti dei palestinesi, conducendo una guerra sproporzionata che ha devastato la Striscia di Gaza e ha fatto decine di migliaia di vittime, senza riuscire a ristabilire la capacità di deterrenza perduta dallo stato ebraico.
Con l’Iran la posta in gioco è ancora più complessa, ma il principio di deterrenza si ripropone. Israele, infatti, vuole mostrare ai suoi nemici – l’Iran e la sua rete di alleati, a cominciare da Hezbollah in Libano – che il prezzo da pagare per qualsiasi minaccia al suo territorio è estremamente alto. Il problema è che il costo della deterrenza continua ad aumentare.
Gli eventi tra Israele e Iran di queste settimane hanno prodotto una serie di novità, dal primo attacco diretto di uno stato contro Israele negli ultimi 33 anni al primo scontro diretto tra Iran e Israele (due paesi che distano duemila chilometri l’uno dall’altro), fino all’emergere della prima alleanza tra Israele, gli occidentali e diversi paesi arabi per reagire a un attacco iraniano. A questo punto tutto lascia pensare che ci saranno altri sviluppi inediti, peraltro già annunciati da Israele.
Ma facciamo un passo indietro. Parallelamente alla sua guerra a Gaza, da sei mesi Israele porta avanti uno scontro indiretto con l’Iran, attraverso le schermaglie con Hezbollah e le operazioni in Siria, dove Teheran ha solidi appoggi. Fino all’operazione condotta il 1 aprile contro una struttura del consolato iraniano a Damasco. Non si tratta di un’ostilità nuova, ma il 7 ottobre ha cambiato le carte.
Nel suo tentativo di ristabilire la deterrenza nei confronti dell’Iran, Israele reagirà. Come, dove e quando rimane un segreto, perché Israele non farà come Teheran che due giorni prima di lanciare lo sciame di droni e missili ha allertato Arabia Saudita, Iraq e Giordania. Ma Netanyahu è costretto a calibrare la risposta contro l’Iran per non perdere gli alleati arabi. Emirati, Arabia Saudita e Giordania sabato scorso hanno partecipato alla difesa dello Stato ebraico: ma non vogliono una reazione che incendi la regione.
E l’Europa? Chiede aiuto a Xi Jinping. Da Scholz a Macron, la voce che i solleva è unica: la Cina può tentare una mediazione e frenare gli ayatollah. Il copione dunque si ripete. Americani ed europei che chiedono alla Cina di esercitare la sua “influenza. È successo con la guerra di Putin in Ucraina. Succede dopo l’attacco iraniano contro Israele. Succede ancora in questi giorni con le richieste avanzate dai due leader europei al presidente cinese.
Il problema è che Benjamin Netanyahu, ossessionato dalla deterrenza e dal salvare se stesso e la sua famiglia dai processi che lo attendono, potrebbe essere spinto a favorire un’ulteriore escalation, con tutti i rischi che questo comporta.