Francia e Germania hanno da sempre dominato la scena in ambito europeo. Tuttavia, in virtù delle sue dimensioni e dell'impegno per il progetto europeo, l'Italia ha spesso mantenuto un ruolo guida nella gestione dell'Ue. Negli ultimi anni è stato l'unico paese a mantenere due delle cinque presidenze delle istituzioni europee: Mario Draghi ha guidato la Banca centrale europea, mentre Antonio Tajani ha presieduto il Parlamento europeo. Le altre tre posizioni di vertice - capo della Commissione, del Consiglio europeo e dell'Eurogruppo - sono andate rispettivamente a Lussemburgo, Polonia e Portogallo.
Tuttavia, l’influenza dell’Italia sembra scendere a vantaggio della Spagna. Così il premier Pedro Sanchez guadagna posizioni rispetto a Giuseppe Conte. Il declassamento dell'Italia potrebbe diventare più evidente alla Bce. Dopo l’uscita di Mario Draghi a fine ottobre, il nostro paese rischia di restare a mani vuote. Il consiglio di amministrazione della Banca centrale è composto da presidente, vicepresidente e altri quattro membri. La spagnola Luis de Guindos, ex ministro delle Finanze, ha già assunto la vicepresidenza della Bce e sulle altre posizioni è battaglia aperta tra Parigi e Berlino. L’Italia potrebbe restare fuori da Francoforte.
Roma vorrebbe comunque un ruolo chiave nella Commissione. Ma il problema che i gruppi ai quali sono iscritti Lega e M5s al Parlamento europeo “pesano” poco. Nel frattempo, la Spagna vorrebbe che Josep Borrell, il suo ministro degli Esteri, diventasse il vicepresidente dell’organo di governo dell’Ue. Paradossalmente, questo obiettivo potrebbe risultare più facile da ottenere per Madrid se il prossimo presidente della Commissione fosse Manfred Weber, il candidato tedesco del partito popolare euopeo, Sanchez avrebbe gioco facile nel chiedere un riequilibrio politico verso sinistra.
Il sorpasso politico di Madrid ai danni di Roma non è casuale. Avviene dopo un decennio nel quale la Spagna ha cercato di recuperare, in parte riuscendoci, il gap macroeconomico con il nostro paese. Negli ultimi cinque anni lo stato iberico è cresciuto ad una media annua del 2,7%, l’Italia sotto l’1%.