In poco più di 30 anni, i salari in Italia sono diminuiti, mentre sono cresciuti in Germania, Francia e Spagna. Secondo un rapporto della Fondazione Di Vittorio, che ha calcolato la differenza, a prezzi costanti, tra il 1991 e il 2023, i salari italiani segnano una riduzione di 1.089 euro, contro i +10.584 dei tedeschi, i +9.681 dei francesi e i +2.569 degli spagnoli.
Cumulativamente, in Italia il mancato adeguamento dei salari all’inflazione ha generato una perdita di oltre 5mila euro in quattro anni: si tratta della differenza tra le retribuzioni contrattuali e il livello a cui sarebbero arrivati i salari se fosse scattato in modo automatico l’adeguamento all’inflazione. Nel dettaglio, la perdita cumulata sulle retribuzioni contrattuali, in rapporto all’inflazione, tra il 2021 e il 2024 è stata di 5.322,9 (tenuto conto degli sgravi contributivi) e nel 2029 potrebbe arrivare a oltre 15.500 euro.
Cosa è successo? Tra i vari fattori in gioco, la quota dell’industria manifatturiera ad alta tecnologia è scesa dall’11% (2010) al 10% (2019). I servizi a bassa qualificazione sono aumentati dal 49% al 53,6% nello stesso periodo. Si è ampliata l’occupazione nei servizi a bassa produttività, con bassi salari e scarse prospettive professionali. L’economia italiana si è indirizzata verso una crescita lenta, con poco valore aggiunto, bassi investimenti in tecnologia e produttività.
A beneficiarne sono state, secondo la Fondazione, le aziende: ciò che è stato perso dal lavoro è andato verso i profitti. Esaminando i dati cumulativi sui bilanci di 1900 società industriali e terziarie riportati da Mediobanca, nel 2023 il rientro dell’inflazione ha riportato i costi per acquisti di beni e servizi attorno all’85% del fatturato, non lontano dai valori pre-pandemici (84%). Nel frattempo il costo del lavoro, invece, si è ridotto il che consente margini di conto economico positivi in termini di utili netti che sono ai massimi del decennio.