La tassazione sul reddito da lavoro dipendente è oggi in Italia particolarmente gravosa per livelli di reddito medi. I lavoratori autonomi fino a 85mila euro di fatturato hanno la flat tax al 15%, i proprietari di case pagano sul canone di locazione il 21%, sui redditi finanziari c’è un’aliquota del 26% e nel caso di titoli di stato del 12,5%. Le società pagano una Ires del 24% sui profitti. Sono, tra l’altro, tutte imposte proporzionali e non progressive come l’Irpef.
Il risultato è che gran parte della pressione fiscale progressiva pesa interamente sulla cosiddetta fascia medio-alta di lavoratori dipendenti che va da 40mila a 70mila euro.
Invece, le imposte sulle proprietà (mobili e immobili), di cui parte gravano su successioni e donazioni, sono proporzionalmente molto inferiori in Italia rispetto ad altri paesi. In Francia la tassa su successioni e donazioni è quindi 15 volte più alta, nel Regno Unito e in Spagna 7,5 volte di più. D’altro lato, l’Italia mostra una pressione fiscale su redditi e profitti che supera del 16% quella di Francia e Regno Unito, e del 35% quella della Spagna.
Questi dati ci dicono che è sostenibile avere una pressione fiscale più bassa sul lavoro e anche sui profitti, nel caso in cui però si accompagni a una maggiore pressione fiscale su altre basi imponibili, come ad esempio le proprietà.
Se si volesse davvero abbassare la tassazione sui redditi da lavoro dipendente in modo permanente, basterebbe spostare il prelievo sulle cosiddette rendite, che non sono il frutto dell’impiego di lavoro e capitale, senza aumentare la pressione fiscale complessiva.
Ciò potrebbe essere fatto introducendo un’imposta di successione in linea con quella di altri paesi. Il gettito dell’imposta su successioni e donazioni per l’Italia è invece oggi poco meno di 1 mld, per la Francia invece si aggira attorno ai 18 mld.