L'Eurozona è pienamente fuori dalle secche della crisi globale scoppiata nel 2007. La crescita ha contagiato in profondità tutti i 19 paesi che adottano la moneta unica. E quindi grandi masse finanziarie continuano a premiare sia le borse dell'area sia l'euro stesso. Tutto bene dunque? No. Perchè i grandi fondi intravedono un “punto cieco”, un grande punto interrogativo che può mettere a rischio la crescita e, quindi, gli investimenti finanziari.
È l'incombente uscita di scena proprio dei due protagonisti della grande rimonta dell'eurozona: Mario Draghi, difensore supremo dell'euro e Angela Merkel, paladina di un'Europa coesa. Il presidente della Bce, garante della stabilità di un'enorme porzione d'Europa, terminerà il suo mandato nel settembre 2019. Fra venti mesi, dunque, potrebbe calare il sipario sulla politica espansiva di Draghi e quel suo “whatever it takes”, pronunciato nel luglio 2012 per difendere l'euro dalla grave crisi dei debiti sovrani. “La Bce farà tutto ciò che è necessario”, una frase – e una politica monetaria incarnata nel Quantitative Easing – che mise in sicurezza la zona-euro e che entusiasmò i grandi fondi mondiali. I quali ora temono proprio il tramonto di quella politica, visto che il successore di Draghi sarà con molta probabilità il falco rigorista Weidmann, governatore della Bundesbank, e che il Quantitative Easing potrebbe chiudersi a fine 2018, quindi prima del ritiro di Draghi.
Ma c'è un altro tramonto che preoccupa anche di più i mercati. E' quello della Merkel. La cancelliera tedesca, dopo 12 anni da padrona assoluta della scena in Germania e, quindi, in Europa, è fortemente indebolita. Alle elezioni del settembre 2017 la sua CDU ha ottenuto il peggior risultato dal 1949 e a cinque mesi dal voto non è ancora riuscita a formare il nuovo governo di Grosse Koalition. E per giunta è sotto accusa dal suo stesso partito per aver concesso troppo alla SPD. Con una Merkel debole e un Draghi quasi sull'uscio è forse giunta l'ora, per i grandi investitori, di riposizionarsi.