Le politiche dell'Ue restano più che altro a favore dei paesi continentali e nordici, mentre quelli dell'Europa del sud arrancano. È una situazione che difficilmente durerà a lungo.
I paesi europei più ricchi stanno godendo della ripresa, mentre le economie più deboli sono sì in recupero, ma occupano ancora una volta la carrozza in coda al treno. Le performance di crescita, produttività, disoccupazione restano inesorabilmente modeste nell’Europa meridionale.
Il problema è che l’Ue è avviluppata dagli interessi della Germania, che continua a respingere l’ipotesi di un’Unione (anche) fiscale. I tedeschi vogliono la loro fetta di torta. Ma devono sbrigarsi a mangiarla, perché quando la Bce chiuderà i rubinetti i nodi verranno rapidamente al pettine. E i paesi più deboli torneranno a guardare con sospetto al surplus commerciale tedesco, che è già fonte di profonde divisioni politiche.
Il malcontento tra i 508 milioni di cittadini europei sta salendo, così come l’attesa verso un cambiamento che però non si scorge all’orizzonte. L’Ue negli ultimi 20 anni è cresciuta al ritmo dell’1% annuo. Troppo poco e troppo ampio il divario tra ricchi e poveri.
Se l’Unione europea vuole evitare il fallimento deve capire che un tasso di disoccupazione dei giovani (con meno di 25 anni) superiore al 40% in Grecia e pari al 7% in Germania alimenta una situazione destinata a esplodere, prima o poi.
Quello che occorre subito non è tanto una più stretta integrazione politica, ma nuovi meccanismi per alimentare la crescita e la capacità produttiva delle economie in difficoltà.