Il 22 novembre del 2005, Angela Merkel fu eletta prima cancelliera donna della Germania. Fu così che la delfina di Kohl, poi diventata la donna più potente del mondo, cominciò la scalata del palcoscenico globale. In quindici anni, Merkel ha amministrato le tre più gravi emergenze europee: la crisi finanziaria, quella dei profughi, il Covid-19. E ha messo fine all’era in cui i presidenti statunitensi, come riassunse efficacemente il loro consigliere principe (Henry Kissinger), non sapevano “a chi telefonare”, quando volevano parlare con l’Europa.
Soprannominata ‘Merkiavelli’ per il suo proverbiale tatticismo, Merkel ha tuttavia evidenziato una certa mancanza di visione e qualche grave errore. Come quando costrinse l’Europa ad adottare il Fiscal compact, un accordo ancora più soffocante di controllo delle finanze pubbliche - disatteso successivamente da tutti i grandi Paesi europei fuorché dalla Germania. E spinse Paesi come la Grecia a cure draconiane impoverendo la società e l’economia elleniche senza mai convertirle a un riformismo vero.
Il secondo, grande banco di prova internazionale, per Merkel, fu la crisi dei profughi del 2015. Infine, il Covid-19. Nel 2020, durante la pandemia del secolo, la cancelliera è stata la grande sponsor di una soluzione solidale per i Paesi più colpiti, inventandosi il Recovery Fund e spingendo per un generoso pacchetto europeo di aiuti. Ha inoltre salvato la Germania dai picchi di morti ma anche da misure troppo restrittive.
Oggi, la Cdu è l’unico grande partito di centro sopravvissuto in Europa (anche se ora registra un evidente calo nei consensi). Non c’è tema riformista o progressista che Merkel non abbia considerato e fatto suo – dall’uscita dal nucleare al salario minimo, dalla solidarietà con i profughi all’ambientalismo - garantendo alla Germania un avanzamento continuo. Nel breve e medio periodo. Il che ci riporta al principale difetto merkeliano: la mancanza di una visione di lungo periodo.