Tra poco meno di un anno, il 29 marzo 2019, si consumerà il divorzio del Regno Unito dall'Ue. L'accordo è stato (quasi) raggiunto sull'uscita ma nulla è deciso in merito ai rapporti post-Brexit.
L’unica cosa certa è che May ha scelto di non restare nello Spazio economico europeo da 500 milioni di persone. Tale accordo avrebbe consentito al Regno Unito di mantenere rapporti commerciali liberi con i paesi dell’Ue, come già avviene con Norvegia e Islanda. Invece, May vuole un divorzio totale per poi tentare la via, rischiosa, di un nuovo accordo con l’Ue.
L’Unione, infatti, resta il primo mercato per le esportazioni britanniche: tra i primi 10 paesi destinatari 7 sono europei. Tuttavia il modello del commercio estero del Regno Unito sta cambiando. Il 59% delle esportazioni è oggi extra-Ue rispetto al 46% rilevato nel 2006. Senza considerare che entro il 2020 la classe media cinese dovrebbe raggiungere i 600 milioni.
Nonostante ciò, un deterioramento delle relazioni con l’Ue danneggerebbe inevitabilmente la Gran Bretagna. In realtà i problemi sono già iniziati. Dopo aver registrato una crescita del Pil per 20 trimestri consecutivi dal 2013, il Regno Unito si trova ad affrontare una situazione nuova: diminuzione delle vendite al dettaglio, risalita dell’inflazione, salari (quasi) fermi, crescita in riduzione nei prossimi anni.
L’economia europea rappresenta oltre il 20% di quella mondiale. Per questo sarebbe utile che Gran Bretagna ed Ue rivelassero prima possibile i loro piani post-Brexit, considerando le possibili conseguenze per l’economia globale.