I vertici di Eni sapevano delle condotte illecite perpetuate in Nigeria dai loro mediatori. Lo ha scritto il gup Giusy Barbara nelle motivazioni della sentenza che ha condannato a settembre due intermediari per una sospetta tangente versata al governo del paese africano.
Secondo il magistrato, la "procedura di acquisto" del giacimento petrolifero Opl 245 in Nigeria da parte di Eni è stata "costellata da un'impressionante sequenza di anomalie, che necessariamente devono essere state avallate dai vertici della società e non trovano alcuna logica giustificazione se non negli illeciti accordi spartitori”.
Tra gli altri è imputato l'ad Claudio Descalzi, a cui si fa riferimento nelle stesse motivazioni di condanna. Il manager, che al tempo dell'acquisizione di Opl 245, era "il numero 2 della più importante impresa italiana", sarebbe stato "prono di fronte alle pretese di Luigi Bisignani, cioè di un privato cittadino il cui nome era già emerso in alcune delle inchieste più scottanti e note della storia giudiziaria italiana".
Il gup poi argomenta che, al di là di ogni ragionevole dubbio, alcuni manager del gruppo petrolifero italiano hanno progettato e verosimilmente realizzato il piano criminoso di incrementare il prezzo pagato da Eni in modo da ottenere la restituzione in nero di una consistente somma di denaro, nell'ordine di 50 milioni di dollari, da spartirsi tra loro.
Eni respinge le accuse e sostiene di aver operato correttamente.