Prima della Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti erano una potenza isolazionista. Anzi, anche durante i primi anni del conflitto erano completamente ripiegati su loro stessi. In un sondaggio svolto da Gallup fra il 5 e il 10 ottobre 1939 – la settimana in cui la Polonia fu spazzata via dalla Germania nazista e dall’Unione Sovietica – il 71% degli intervistati era contrario all’intervento.
Fino a Pearl Harbor sull’isola di Oahu (dove le forze militari nipponiche nel 1941 sferrarono un attacco contro gli Usa), la maggioranza degli statunitensi non aveva alcun desiderio di inviare figli e capitali all’estero. La Prima guerra mondiale era stata una tresca occasionale e il palato statunitense non si faceva stuzzicare da altre avventure oltremare. Gli interessi nazionali erano piuttosto provinciali e, se i giapponesi non avessero colpito alle Hawaii, lo sarebbero forse rimasti anche successivamente.
Invece, il periodo che seguì alla Seconda guerra mondiale creò una nuova America, in tutti i sensi: politico, economico, sociale, e culturale. Trasformò anche la politica estera statunitense in un affare essenzialmente rivolto all’esterno, come dimostra la storia post-bellica. Fino ai nostri giorni.
E tra i numerosi interessi attuali di Washington ne emerge uno forse inaspettato, secondo Limes. Gli Usa hanno bisogno di mantenere in ordine il Nord Atlantico. Una delle chiavi sono le due Irlande. Ecco perché, se e quando l’unificazione dell’isola celtica diverrà possibile, gli Stati Uniti cercheranno di imporre a Londra di concederla.