La Compagnia petrolifera nazionale (Noc) libica oggi “fermerà tutte le esportazioni di greggio da tutti i porti e terminal nella Libia centrale ed orientale” su ordine di due capi militari al comando del generale Khalifa Haftar. La produzione di petrolio verrà ridotta di “almeno 700 mila barili al giorno per un valore di oltre 47 milioni di dollari” su base quotidiana. Lo scrive l’emittente Libya al-Ahrar sul proprio sito.
Il rischio di un’escalation è sempre più concreto. La missione Onu in Libia esprime “profonda preoccupazione per gli attuali sforzi per interrompere o compromettere la produzione di petrolio nel Paese. Questa mossa avrebbe conseguenze devastanti prima di tutto per il popolo libico che dipende dal libero flusso di petrolio - si legge in un comunicato dell’Unsmil - e avrebbe effetti terribili per la situazione economica e finanziaria già deteriorata del Paese”.
Intanto il premier libico Fayez al-Sarraj potrebbe disertare la Conferenza di Berlino in programma il 20 gennaio e inviare solo una delegazione di Tripoli.
A rincarare la dose ci ha pensato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan: “Il generale Khalifa Haftar non è un uomo affidabile. Ha continuato anche ieri a bombardare Tripoli”, nonostante la tregua. Dal canto suo, Haftar ha scritto una lettera al presidente russo Vladimir Putin in cui definisce “mio caro amico” il leader del Cremlino e si dice pronto a tornare in Russia per continuare a discutere di una soluzione pacifica al conflitto in Libia.
Poi entra in scena l’Egitto. L’annuncio della Turchia sull'invio di militari in Libia costituisce “un rischio e ha un impatto negativo sulla conferenza di Berlino e sulla situazione interna in Libia”. Lo ha affermato il capo della diplomazia egiziana Sameh Shoukry.
E la partita a scacchi continua. Ma questo non è un gioco.