In media, un terreno agricolo negli Stati Uniti costa intorno agli 8000 dollari all’ettaro. Molto meno di quanto non accada per esempio in Italia, dove i prezzi medi vanno dai 40 mila all’ettaro della Pianura Padana ai 15 mila del centro-sud. La bassa quotazione dei terreni ha fatto sì che aziende molto grandi, per lo più multinazionali, potessero accaparrarsi, in modo non dissimile da quanto avveniva nel tardo impero romano con il latifondo, enormi zone di terreno, togliendole agli agricoltori medi e piccoli. In questo modo, l’agricoltura si è trasformata in un’impresa su enorme scala.
Ora a impensierire i legislatori statunitensi è l’acquisto di terreni da parte di soggetti stranieri. Si stima che il 3% del totale dei terreni fertili americani sia nelle mani di aziende straniere. A fare da capofila, nel gruppo degli acquirenti, sono le aziende canadesi, che risultano titolari di circa il 30 per cento di quel 3 per cento complessivo. A seguire nella classifica dei compratori di terre statunitensi, ci sono i Paesi Bassi e, al terzo posto, l’Italia. Da alcuni anni, a comprare terreni ci si sono messe anche le multinazionali cinesi che detengono l’1 per cento di quel 3 per cento.
Una percentuale relativamente modesta ma che preoccupa Washington. Si teme che la Cina possa usare i suoi terreni su suolo americano per indebolire l’economia e la sicurezza, sia militare che alimentare, del Paese. Questo potrebbe accadere in due modi: comprando appezzamenti strategici per il sistema alimentare americano, oppure acquistando aree nei pressi di basi militari, dalle quali compiere potenziali attività di spionaggio.