Si sono seduti a parlare di pace, ma non hanno mai interrotto i rapporti con Al Qaeda. Accolgono la mediazione di Qatar e Pakistan, ma puntano a un’autonomia totale, finanziaria e militare. Il sogno dei talebani è sempre quello dell’emirato islamico, e quello dell’Occidente, di ricondurli a una concezione quasi accettabile della democrazia, rischia di essere solo un miraggio. A spazzare via le illusioni è un documento riservato della Nato.
La prima osservazione è l’ascesa rapida verso la leadership del mullah Mohammad Yaqoob, capo militare del gruppo integralista ma soprattutto figlio trentenne del mullah Omar, fondatore dell’organizzazione ed emiro dell’Afghanistan dal 1996 al 2001. In grado di controllare militarmente 28 province, il figlio di Omar ha lanciato una strategia basata sull’accentramento e sull’espansione delle fonti di finanziamento.
Queste sono principalmente due: il commercio di oppio e il contrabbando di minerali preziosi. Yaqoob può contare su oltre 1,6 miliardi di dollari l’anno. Di essi 416 milioni vengono dal traffico di droga, 464 dall’attività mineraria e il resto da estorsioni e contributi vari.
Sulle prospettive di pacificazione dell’Afghanistan, e sulla reale possibilità che il Paese governato dai talebani possa mantenere l’impegno a non ritornare una base per attentati all’estero, l’analista della Nato non si fa illusioni.
Unica via d’uscita per rendere l’organizzazione più debole e meglio disposta a cercare un accordo con le autorità di Kabul, suggerisce il documento, è quella di prosciugare gli introiti del gruppo impedendo alle grandi aziende farmaceutiche di approvvigionarsi di oppio dai talebani e fermando il commercio dei minerali, sull’esempio di quello che è successo in passato con il boicottaggio dei “diamanti di sangue”.