I residui di pesticidi si trovano ovunque: nell’aria che respiriamo, nel cibo che mangiamo e nell’acqua che beviamo. Le conseguenze sono evidenti. Un numero crescente di prove suggerisce che erbicidi, insetticidi e fungicidi causano circa 20.000 morti e 385 milioni di avvelenamenti in tutto il mondo ogni anno. Possono anche persistere per decenni, danneggiando la fertilità del suolo e portando all’emersione di erbe infestanti resistenti agli erbicidi che minacciano la biodiversità.
Eppure, l’agricoltura fa ancora affidamento sull’uso di pesticidi. Nel 2017, il loro uso globale è salito a quattro milioni di tonnellate all’anno, con un aumento di quasi l’81 per cento dal 1990. I produttori di pesticidi spesso sostengono che i loro prodotti sono fondamentali per combattere la fame nel mondo. Ma più del 10 per cento della popolazione mondiale va ancora a letto affamato ogni giorno.
Chiaramente la risposta non può essere trovata nell’uso di più pesticidi. Anche perché la dipendenza dagli input agricoli basati sui combustibili fossili, come fertilizzanti sintetici e pesticidi, ha reso l’agricoltura convenzionale più costosa per molti in tutto il mondo.
E qui si innesta un altro problema. Sebbene molti di questi pesticidi pericolosi siano stati vietati in Europa, rappresentano oltre un terzo delle vendite dei cinque maggiori produttori mondiali. E le società europee come Basf, Bayer e Syngenta continuano a venderli in paesi a basso e medio reddito, dove i requisiti di approvazione sono spesso meno severi e i piccoli agricoltori sono spesso inconsapevoli dei pericoli legati al controllo chimico dei parassiti.
In Kenya, ad esempio, il 76 per cento dei pesticidi utilizzati contiene principi attivi classificati come altamente pericolosi e quasi la metà di quelli utilizzati nel Paese è vietata in Europa. Tuttavia, poiché la maggior parte degli appezzamenti degli agricoltori sono più piccoli di due acri e tra loro ravvicinati, è di fatto impossibile attuare misure di protezione come la creazione di zone cuscinetto. Allo stesso modo, i dispositivi di protezione individuale spesso non sono disponibili, sono troppo costosi o non sono adatti ai climi caldi.
Siamo dunque di fronte a un doppio standard, a cui si aggiunge un evidente paradosso: spesso i beni alimentari prodotti nei paesi in via di sviluppo sono esportati nei paesi produttori di pesticidi. In pratica, il loro uso è inibito nell’Ue, però li produciamo e li vendiamo all’estero, e dagli stessi paesi importiamo beni alimentari prodotti con il loro uso. Il punto è: ciò significa che occorre tornare a usare più pesticidi in Europa oppure i paesi dell’Ue dovrebbero puntare a introdurre nuovi elementi selettivi alle importazioni soprattutto di certi beni come quelli alimentari?