Il partito Awami League del premier Sheikh Hasina ha stravinto le elezioni parlamentari del 30 dicembre scorso, ma sono state macchiate dal sangue di 17 morti e numerosi feriti in scontri tra manifestanti e polizia. Il voto è stato vissuto dalla popolazione come un referendum sulle tendenze considerate sempre più autoritarie di Hasina, al potere da dieci anni: aumentano le accuse di arresti di massa e sparizioni forzate. Il principale rivale di Hasina era un’altra donna: la ex premier Khaleda Zia, capo del Partito nazionalista del Bangladesh, ma è stata ritenuta ineleggibile da un tribunale per la sua passata detenzione con accuse di corruzione.
Nonostante il difficile clima politico, e sebbene resti uno dei paesi più poveri al mondo, il Bangladesh è diventato un "modello" per l'Asia meridionale. Queste non sono le parole del primo ministro Hasina, ma del settimanale britannico “The Economist”. L'economia del paese a maggioranza musulmana, con una popolazione di oltre 165 milioni di abitanti, è cresciuta in media di oltre il 6% all'anno dal 2008. Nel 2017 il Pil è cresciuto del 7,3%, un tasso più alto rispetto a quello di India e Pakistan.
Oggi l'industria rappresenta circa il 30% del prodotto interno lordo. Nel 1971, l'anno della sanguinosa lotta per l'indipendenza dal Pakistan, la quota dell'industria era inferiore al 7%. Attualmente il Bangladesh esporta (soprattutto negli Stati Uniti e in Germania) più tessuti di India e Pakistan messi insieme. Rispetto a questi due paesi, anche in altri ambiti la piccola tigre asiatica fa meglio: ad esempio, sulla mortalità infantile e sull’aspettativa di vita.
Cio’ non significa che i problemi per il paese asiatico siano finiti. I lavoratori sono sottoposti a condizioni inaccettabili (in termini di sicurezza e salari) e le aziende occidentali seppur direttamente coinvolte fanno finta di non vedere. E, poi, secondo i dati del Global Hunger Index, pubblicato dall'International Food Policy Research Institute di Washington, lo scorso anno il 26,5% della popolazione ha sofferto la fame. Ma è pur vero che il tasso attuale è la metà rispetto a quello rilevato nel 1992, quando si attestava al 53,6%. Ed è stato possibile ridurlo puntando su tre fattori: tessile, agricoltura e le rimesse degli immigrati all’estero.
Ma all’orizzonte si profila una minaccia inaspettata fino a pochi anni fa: il Bangladesh, secondo gli esperti, potrebbe essere presto flagellato dal cambiamento climatico.