Nel mondo da sempre si contrappongono due idee di regolamentazione della società: democrazia e autoritarismo. Mentre il primo campo non dispone di una figura di riferimento, il campo di chi apprezza un sistema di marcata gerarchia sociale, ha una icona planetaria e indiscussa: Vladimir Putin.
Un autocrate che trova estimatori nell’opinione pubblica e nella classe politica di molti importanti paesi, come Francia, Italia, Filippine e nella stessa Casa Bianca. Chi crede nella democrazia come miglior sistema sociale crede nella naturale capacità degli individui di autoregolamentarsi e scegliere il meglio per sé. Chi apprezza le diverse declinazioni dell’autocrazia, invece, fa propria la cinica visione di Machiavelli.
E il putinismo, come il trumpismo, si basa, come per il pensatore fiorentino, sull’idea che le persone sono ingrate, ingannevoli, impaurite dal “diverso” e mosse solo da avidità. E come tali, diffidano di chi prospetta governi imparziali e attenti solo al benessere collettivo. Putin incarna questa visione disincantata e il suo prestigio internazionale è andato crescendo nei 17 anni di suo potere.
La “narrazione” di sé che lui stesso diffonde accresce quel prestigio perché volta ad accreditarlo come difensore dei russi nei confronti dell’egemonia americana, sin dal suo esordio in politica. Inoltre, prima dell’avvento di Putin l’aspettativa di vita dei russi era sotto quella del Bangladesh, salvo poi salire a 71 anni. E sbaglia chi pensa che il fragile quadro economico della Federazione possa trascinare giù Putin, perché il consenso altissimo che lo circonda, oltre l’80%, è meta-economico. È culturale e ideologico. E lui, da buon autocrate, cavalca questo che è diventato ormai un fideismo, proseguendo la battaglia contro tutto ciò che è “diverso” e che può minare – a suo avviso - la società russa, quindi i gay, i musulmani, gli atei e in generale l’Occidente, “degenere e senza genere”.