Il senatore Gustavo Petro è il nuovo presidente della Colombia in base al conteggio rapido realizzato dal Registro nazionale elettorale a Bogotà. Con lo scrutinio dei voti del 97,06% dei seggi, Petro ha raccolto insieme alla sua vice Francia Marquez 10.984.247 suffragi (50,57%), mentre lo sfidante, il populista di destra Rodolfo Hernández, si è attestato su 10.242.763 voti (47,16%).
È la prima volta, dunque, nella storia colombiana che un leader della sinistra assume la massima carica dello Stato. Bogotà, in questo senso, è un’eccezione in Sudamerica, paragonabile solo al Paraguay, anche se lì ha governato per 70 anni un partito, il Colorado, che nel tempo ha avuto anche orientamenti progressisti.
In Colombia, invece, la tradizionale alternanza tra il Partito liberale e quello conservatore è sempre stata nel segno di una linea di centro o di destra; la sinistra in quanto tale aveva saputo vincere, fino ad ora, solo a livello locale.
Sono state anche le prime elezioni senza la presenza esplicita dell’‘uribisimo’, quell’insieme di leader e partiti vicini all’ex presidente di destra Alvaro Uribe (2002-2010). Il candidato naturale di questo spazio politico, Federico Gutierrez, era arrivato terzo al primo turno e aveva subito dichiarato il suo appoggio a Hernandez in chiave anti-Petro.
Ex membro del M19, movimento di guerriglia urbana disciolto alla fine degli anni ‘80, Petro è da tre decenni un protagonista della politica colombiana. È stato sindaco di Bogotà, poi deputato e senatore.
Il neopresidente eredita un paese nel quale persiste un quadro di fortissime diseguaglianze sociali, con quasi 20 milioni di poveri (40% della popolazione) e un alto numero di disoccupati e lavoratori informali.
L’altro grande dramma riguarda la violenza diffusa, sia nei territori rurali un tempo dominati dalla guerriglia delle Farc che nelle grandi città, attraversate dalla criminalità comune e dal potere di fuoco dei grandi clan di narcotrafficanti.
Dopo l’accordo di pace tra lo Stato e le Farc del 2016, le istituzioni non sono riuscite a penetrare in alcune regioni che vivono oggi in uno stato di anarchia, con ex guerriglieri passati al servizio dei narcos e una serie di omicidi dei cosiddetti ‘leader sociali’ (sindacalisti, ambientalisti, dirigenti di ong o organizzazioni di contadini).
Secondo una recente indagine condotta a livello nazionale il 36% dei comuni colombiani vive sotto l’influenza di agenti armati, siano essi clan di narcos, delinquenza comune o guerriglieri ribelli.
Uno scenario che il prossimo governo dovrà affrontare per poter davvero far ripartire un paese segnato da mezzo secolo di conflitto interno e da una pace ancora troppo fragile per poter essere duratura.