C’è un legame tra i terremoti che fanno vibrare l’Appennino e la presenza di anidride carbonica nelle falde: i campionamenti fatti negli ultimi dieci anni mostrano che la CO2 raggiunge la sua massima concentrazione in occasione di intensa attività sismica. La scoperta è pubblicata sulla rivista Science Advances dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) e dall’Università di Perugia.
Dai dati emerge una correlazione tra i due fenomeni ma i ricercatori ancora non sanno se la CO2 è un segnale che annuncia il sisma: per verificarlo si tenterà un monitoraggio continuo nel tempo. Sono stati presi in esame dati geochimici e geofisici raccolti dal 2009 al 2018, inclusi quelli relativi ai grandi terremoti dell’Aquila, di Amatrice, e Norcia.
In questo studio si ipotizza che l’evoluzione della sismicità nella zona appenninica sia modulata dalla risalita del gas che deriva dalla fusione di porzioni di placca che si immergono nel mantello. Questa produzione continua di anidride carbonica in profondità e su larga scala favorisce la formazione nella crosta terrestre di serbatoi ad alta pressione.
Ecco allora che la sismicità nelle catene montuose potrebbe essere correlata alla depressurizzazione di questi serbatoi e al conseguente rilascio di fluidi che, a loro volta, attivano le faglie responsabili dei terremoti.