Carne, sempre più carne. Impossibile dare dati precisi sull'industria globale del comparto, né per quantità né per valore (le stime più espansive parlano di 741 miliardi di dollari all'anno). Ma per dare un'idea della crescita di livello esponenziale della produzione di carne può essere significativo raccontare vita e misure del pollo medio nell'arco di neanche cento anni. Nel 1925 il pollo andava in vendita negli Usa a 112 giorni di vita con un peso di 1 kg e 100 grammi. Ora arriva al consumatore in meno della metà del tempo, a soli 48 giorni, ma ad un peso più che doppio, cioè a 2 kg e 800 grammi.
Un effetto mongolfiera frutto di consumi ambientali ormai sfrenati, soprattutto in termini di acqua. Secondo alcuni studi il consumo di quella potabile da parte degli allevamenti sarebbe del 70% del totale, secondo altre stime più recenti, del 2013, l'assorbimento arriverebbe addirittura al 92%. Valori che non devono sembrare assurdi se si citano le stime sulle necessità per singola tipologia di prodotto. Per ottenere un chilo di vegetali servono 322 litri d'acqua, per un chilo di frutta 962 litri. Se ci si sposta nel regno animale le necessità si moltiplicano: per un chilo di pollo occorrono oltre 4 mila litri d'acqua, per il suino 6 mila, fino alla stratosferica quantità di 15 mila litri d'acqua per avere un chilo di carne bovina.
Ma non basta. L'umanità, per soddisfare la sua fame crescente di carne, deve pagare altri prezzi. Gli allevamenti intensivi sono notoriamente tra le più potenti fonti di emissioni nocive: sia a livello atmosferico – le tre più grandi industrie del settore al mondo emettono tanto gas serra quanto l'intera Francia – sia a livello dei corsi d'acqua e suolo circostante, con nitrati e fosfati che favoriscono l'eutrofizzazione del territorio. L'impatto maggiore, tuttavia, è proprio diretto su chi mangia carne: quello di sviluppare una pericolosa resistenza agli antibiotici. La possibile soluzione o almeno l'attenuazione di tutti questi effetti? La svolta vegana oppure la riduzione delle razioni. Sarebbe, poi, auspicabile il potenziamento degli allevamenti biologici, al momento minoritari: in Europa sono solo il 5,7%.
Articolo pubblicato in precedenza su La Stampa - Tuttogreen