Come fanno aziende del petrolio e del gas a definire verdi le proprie attività, promettendo di arrivare velocemente ad emissioni nette zero, mentre continuano a sfruttare e bruciare combustibili fossili? Semplice. Grazie a programmi come il REDD+ (Reducing Emissions from Deforestation and Forest Degradation in developing countries), che consentono di compensare le numerose emissioni causate dalle proprie attività estrattive, acquistando crediti di carbonio da progetti di conservazione delle foreste.
Negli ultimi anni (ad esempio) Eni ha annunciato di aver siglato accordi per progetti REDD+ in vari Paesi dell’America Latina e dell’Africa, tra cui il Luangwa Community Forests Project (LCFP), in Zambia. I progetti in questione dovrebbero impedire l’emissione di anidride carbonica evitando la deforestazione.
Il funzionamento dei crediti di carbonio è simile a quello dei titoli azionari, ma invece di quote societarie rappresentano il diritto ad emettere C02. In pratica, acquistando questi titoli sul mercato del carbonio, le società possono affermare di aver compensato un certo volume delle loro emissioni, perché le hanno impedite altrove.
Comprando crediti sul mercato del carbonio o investendo direttamente in presunti progetti di conservazione, aziende come Eni – ovvero l’azienda italiana con il più alto livello di emissioni di gas serra – possono presentarsi come protettrici della biodiversità, nonostante le loro attività estrattive continuino a causare il danneggiamento degli ecosistemi su cui ricadono le loro concessioni, come per esempio nel Delta del Niger o in Mozambico.
Grazie a questa tipologia di progetti, l’Eni è così in grado di scrivere nel suo piano di decarbonizzazione che il gas fossile costituirà una parte centrale del proprio business persino oltre il 2050, affermando al contempo che, per quell’anno, la società avrà raggiunto l’obiettivo di emissioni nette zero.
Di fatto i meccanismi di compensazione della C02 , di cui il REDD+ è una parte importante, insieme al Carbon Capture and Sequestration, consentono alle multinazionali del fossile di dichiarare un volume di emissioni molto inferiore rispetto a quello di cui si è effettivamente responsabili.