“Purtroppo il tempo per correggere la situazione è ampiamente scaduto. Non c’è altro da fare che prepararci ad eventi legati al cambiamento climatico altrettanto devastanti dell’ondata di calore in Nordamerica e delle drammatiche alluvioni in Germania e Belgio. Ciò non toglie naturalmente che occorra comunque agire senza esitazioni per evitare disgrazie ancora più catastrofiche”. È quanto sostiene Jeffrey Sachs, docente di Economia dello sviluppo alla Columbia di New York, in un’intervista a Repubblica.
“Bisogna smantellare la rete di potere e interessi sostenuta dall’industria dei combustibili fossili. È inutile girarci intorno: le compagnie petrolifere occidentali avranno anche varato, quale più quale meno, iniziative di contenimento delle emissioni, comunque da migliorare senza esitazioni né sconti, ma il problema è globale e finché non si saranno associati i Paesi che continuano a inquinare come se nulla fosse, la situazione non potrà che peggiorare”.
“Beh, l’elenco è talmente lungo che rischiamo di dimenticarne tanti – continua Sachs -. A tutti va detto forte e chiaro: l’epoca dei combustibili fossili è finita. E ai regimi autocratici bisogna far capire che non possono più cercare il consenso permettendo l’inquinamento. Preparatevi piuttosto, deve essere il messaggio, senza più ritardi alle emissioni zero del 2050. Quali sono? Intanto Cina e India dove la maggior parte dell’energia continua a derivare dal carbone, e scusate se è poco. Poi Russia, Arabia Saudita, Australia, Indonesia, Canada, Messico, e naturalmente, anzi prioritariamente Stati Uniti.”
E proprio rispetto agli Usa, sull’Europa Sachs dice: “L’Europa mi sembra più pronta, malgrado non manchino contrasti interni, ad adottare soluzioni positive perché soffre meno della potenza dell’industria del fossile. Il Green New Deal è un’ottima iniziativa, ed è anche giusto che sia partito con grandi ambizioni per poi eventualmente smussare qualcosa. L’Europa potrebbe anche lavorare a un accordo con la Cina, visto che l’America si è incartata in una sorta di guerra fredda con Pechino che distoglie attenzione ed energie dalla questione climatica. A quel punto, di fronte a un’iniziativa del genere, gli Stati Uniti probabilmente seguirebbero sulla via della decarbonizzazione.”
Ma veniamo al punto. In tema, ad esempio, di emissioni di CO2 occorre fare una distinzione tra livelli generali e quelli procapite. Come emerge chiaramente dal grafico 1 (per approfondire il tema visita My Data Jungle), i principali paesi inquinanti al mondo sono in ordine decrescente: Cina, Usa, India, Russia e Canada. Prendendo invece in riferimento i valori procapite (graf. 2) la situazione cambia: Usa, Canada, Russia, Cina e India. Dunque, il graf. 1 mette in luce quali paesi ancora prima degli altri è necessario che riducano le loro emissioni complessive. Il graf. 2 ci ricorda, in realtà, che il primo modello economico-produttivo a dover cambiare è quello nordamericano (a differenza di quanto sostiene Sachs).