Incendi e temperature record stanno attanagliando l’Europa. Tra le ondate di calore e il fuoco che sta divorando la macchia mediterranea si sta creando un circolo vizioso: il caldo torrido favorisce gli incendi, che a loro volta aumentano le emissioni. Sono gli effetti dei cambiamenti climatici. La denuncia della scienza è chiara e lascia poco spazio al dibattito: i livelli di CO2 sono saliti di oltre il 50% dall’inizio dell’era industriale, ma il tema sembra essere spariro dall’agenda politica internazionale.
Secondo una recente analisi del World Economic Forum, la frequenza delle mutazioni meteorologiche sta accelerando più rapidamente di quanto avessero previsto i modelli climatici. In particolare, la lunghezza della stagione calda è andata espandendosi in molte regioni del mondo sin dagli anni Ottanta: mediamente, questa stagione si è allungata del 27% a livello globale, ma gli incrementi sono stati particolarmente significativi in Amazzonia, nel Mediterraneo e nelle foreste occidentali dell’America settentrionale.
Ciò significa che il numero di giorni all’anno di condizioni metereologiche di caldo estremo è aumentato del 54% (dagli anni ’80). E negli ultimi cento anni, la temperatura globale è aumentata di 1,1 gradi Celsius, e stando alle previsioni entro la fine del secolo il surriscaldamento globale potrebbe registrare un aumento di 2,7°C. È per questo che gli incendi difficili da contenere sono oggi più frequenti che in passato.
Che fare? I governi sono davanti a un bivio: combattere il surriscaldamento globale o prevenire gli effetti dell’inflazione? Ad esempio, il piano del presidente statunitense Joe Biden prevede più tasse per le multinazionali e per i cittadini più abbienti, e un maggior supporto per finanziare la transizione ecologica. Gli Usa sono il paese da cui sono generate le aspettative più grandi in termini ambientali. Un eventuale fallimento avrebbe effetti sull’agenda verde globale.
Ma, nonostante il clima incandescente, il cambiamento climatico sembra esser tornato in secondo piano. Dopo un anno in cima alle agende politiche internazionali, che avevano generato promesse (anche se non troppo ambiziose) e qualche obiettivo condiviso, il tema pare uscito di scena, offuscato dalla crisi ucraina, divenuta ormai la nuova priorità internazionale. Eppure, le due crisi sono correlate. L’invasione russa dell’Ucraina ha sconvolto i mercati energetici europei, portando i governi alla ricerca di nuovi fornitori. Il rischio è che alla transizione energetica si preferisca la sicurezza energetica.
“Sembra esserci una ‘corsa all’oro’ per nuove infrastrutture di combustibile fossile. Ma una volta costruite non serviranno più solo nel breve periodo e faranno svanire gli obiettivi climatici di lungo termine”, sostiene Niklas Hohne del NewClimate Institute. In effetti, alcuni osservatori criticano la scelta di rimpiazzare i prodotti energetici russi con il gas naturale liquefatto, la cui industria potrebbe avere gli stessi effetti dei combustibili fossili. Inoltre, le mutate condizioni mondiali stanno costringendo le economie più vulnerabili a un ritorno al carbone. Indietro tutta.