La Commissione europea ha presentato il suo piano per accelerare la transizione energetica. Il mix di proposte legislative e raccomandazioni mira a tre obiettivi fondamentali, da qui al 2030: ancora meno consumi energetici (dal -9% previsto al -13%), più fonti rinnovabili (raggiungendo il 45% dei consumi), e diversificazione delle importazioni.
Ma il piano punta anche a smarcarsi dal gas russo. La Commissione stima direttamente “in gas” i risparmi derivanti dalle sue proposte: 114 miliardi di metri cubi l’anno, il 73% delle importazioni europee dalla Russia. Ma in che tempi e, soprattutto, a quali costi?
Tutte le misure contenute nel piano guardano al lungo periodo. Nel suo discorso del 17 maggio, anticipando le proposte, von der Leyen si è addirittura concentrata sull’idrogeno verde: una fonte pulita e che potrebbe sostituire il gas naturale, certo, ma per la quale le tecnologie non sono ancora mature.
Intanto, proprio in questi giorni i Paesi europei sembrano ammettere che di alternative immediate al gas russo non ce ne siano. Prova ne sia che ormai molte compagnie importatrici sembrano aver aperto il loro doppio conto presso Gazprombank (uno in rubli e uno in euro), almeno parzialmente ottemperando al diktat di Mosca che solo un mese fa dichiaravano solennemente di voler contrastare. E la stessa Commissione ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco, pubblicando linee guida sulle sanzioni con ampi margini di interpretazione.
Nell’idea di Bruxelles, il piano prenderebbe tre piccioni con una fava: consentirebbe a un tempo di investire in rinnovabili, smarcarsi dai combustibili fossili russi e ridurre i prezzi dell’energia. Ma nascosto tra le pieghe della proposta c’è un altro problema: i costi. Per accelerare la transizione, Bruxelles stima che saranno necessari almeno 210 miliardi di euro in più, oltre ai 670 previsti inizialmente.