“In Australia la barriera corallina muore, le foreste pluviali bruciano, le foreste di alghe sottomarine svaniscono. Il continente brucia su una scala mai vista prima”. È uno dei passaggi di un articolo pubblicato sul New York Times a firma dello scrittore Richard Flanagan che punta l’indice contro coloro che hanno favorito ottusamente le lobbies dei combustibili fossili, gli “oligarchi del carbone”.
Gli incendi hanno già devastato 14,5 milioni di acri, la superficie della Virginia Occidentale, più del triplo dell’area distrutta dagli incendi del 2018 in California e sei volte più degli incendi del 2019 in Amazzonia. L’aria di Canberra a Capodanno è stata la più inquinata al mondo, su di lei incombeva un pennacchio di fumo e di fuoco largo quanto l’Europa.
E la stagione degli incendi è solo agli inizi. Eppure il governo, scrive Flanagan, rifiuta gli accordi internazionali sui cambiamenti climatici e tutela le industrie di combustibili fossili. L’Australia è il maggiore esportatore mondiale di carbone e gas.
Come spiegò nel 2006 Mikhail Gorbaciov, il crollo dell’Urss cominciò nel 1986 con il disastro nucleare di Chernobyl: da allora “il sistema divenne insostenibile”. Quanto sta accadendo in Australia potrebbe forse rappresentare la Chernobyl del riscaldamento globale.