Entro il 23 giugno il governo italiano deve sciogliere il rebus del controllo cinese di Sinochem in Pirelli. Al centro c’è il mantenimento della trazione italiana del gigante degli pneumatici guidato da Marco Tronchetti Provera, ma anche il rispetto di obblighi internazionali nei confronti di Washington. Il punto è che ChemChina, il gruppo che nel 2021 si è fuso con l’altro colosso di Stato Sinochem e a cui ha portato in dote la consistente quota del 37 per cento in Pirelli, figura nell’ultima black-list stilata dal Dipartimento della Difesa americana e diffusa a ottobre dello scorso anno.
Si tratta di un elenco di società del Dragone soggette a restrizioni nel mercato statunitense in quanto classificate come “compagnie militari cinesi”, aziende che operando direttamente o indirettamente negli Usa, secondo Washington, possono consentire a Pechino l’accesso a tecnologie avanzate, mettendo a rischio la sicurezza occidentale. Inoltre, oltre a rischiare la riduzione del business nel ricco mercato statunitense, Pirelli potrebbe anche esser scaricata da una parte dei grandi investitori a stelle e strisce.
Il governo a questo punto deve decidere se ricorrere alla Golden Power entro il 23 giugno, altrimenti i poteri di intervento dell’esecutivo decadranno per scadenza dei termini. Se l’esecutivo opta per una forte limitazione delle prerogative dei cinesi, si innescherebbe un riassetto azionario. A quel punto, per rafforzare il socio italiano, alla finestra ci sono Cassa Depositi e Prestiti e secondo MF-Milano Finanza anche Brembo, pronta a puntellare la partecipazione in Pirelli, ora al 6%. In ogni caso, per non far stranire Washington, anche la rinuncia alle potenzialità del mercato cinese ha un prezzo.
Cosa è il ‘golden power’?
È nato con l’obiettivo di salvaguardare gli assetti delle imprese operanti in determinati ambiti strategici e di particolare interesse nazionale e di fornire ai governi che si sono succeduti nel tempo “poteri speciali” per dettare specifiche condizioni all’acquisto di partecipazioni, porre veti o imporre determinate delibere societarie per alcuni settori delimitati. Il golden power, ovvero questa sorta di scudo che il governo può usare quando lo ritenga necessario, fu introdotto la prima volta nel 2012 superando di fatto nel nostro paese lo strumento della cosiddetta golden share, che nel 2009 fu oggetto di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea, che ritenne che il sistema italiano violasse la libera circolazione di capitali pur riconoscendo “legittimo e difendibile” il fine di salvaguardare gli interessi vitali dello Stato.