Nei grattacieli di Los Angeles, nel Palazzo Reale di Evora in Portogallo, nel centro storico dell’Havana, ma anche a Châtelet-les-Halles, Etoile, Nation e tante altre stazioni della metropolitana di Parigi e di Mumbai. Nel 2023 i prodotti della Diasen, un’azienda di Sassoferrato, in provincia di Ancona, si sono diffusi in 64 paesi di tutti e 5 i continenti. L’impiego innovativo della corteccia lavorata consente di rendere gli edifici immuni da caldo e freddo e di risparmiare energia.
Tutto ha inizio negli anni Venti del Secolo Breve quando Lorenzo Pierantoni, in una piccola località a ridosso di Fabriano, si dedica alla produzione di sapone. Lo fa da autodidatta: studia, produce e apprende le tecniche immergendosi nei manuali del saponiere moderno in un tempo difficile, in cui fare gli imprenditori voleva dire essere visionari incompresi, pionieri solitari e sognatori da guardare con diffidenza.
L’esperienza e la passione di Lorenzo attraversano tempi di ferro e di fuoco e si consolidano nei decenni successivi al Secondo Dopoguerra, ispirando la nipote Angela e il marito Floriano Mingarelli a innestare quell’eredità di cultura e di passione produttiva in una nuova avventura imprenditoriale: la Italsolventi, azienda di prodotti chimici per l’edilizia, legata alle tecnologie del suo tempo ma guidata da Floriano con curiosità inquieta, apertura al nuovo e gusto della sperimentazione.
Floriano amava innovare e lo faceva miscelando sostanze e universi incompatibili, come sughero e cemento, dando forma originale a una chimica creativa, senza schemi, animata da intuizioni alchemiche ispirate alla riscoperta delle tradizioni e a un indomabile desiderio di futuro.
Da questo lungo viaggio nel 2000 è nata Diasen, un’azienda capace di unire esperienza e visione in un tragitto che ha cambiato pelle a una piccola impresa innovativa divenuta leader nelle soluzioni green per la bioedilizia: biomalte e pitture a base sughero e calce che recuperano e attualizzano la tradizione del costruire, dimostrando (come si legge sul portale dell’azienda) che il sughero non è figlio di un dio minore perché il vocabolario della filiera non contempla la parola “scarto”. Ogni grammo ha la sua utilità e il suo sbocco.