Prima ha cominciato la sede di Singapore, seguita poi da numerose altre città. Fra queste, New York, Chicago, Seattle, Hyderabad (India), Berlino, Zurigo e Londra. Così, il primo novembre, centinaia di lavoratrici e lavoratori di Google in più di venti uffici nel mondo hanno incrociato le braccia. Anzi, sono scesi in piazza per protestare contro il trattamento riservato alle donne da parte dell'azienda.
Succede a una settimana da un'inchiesta del New York Times, secondo cui Andy Rubin, creatore del software mobile Android, avrebbe ricevuto una buonuscita di 90 milioni di dollari, nonostante le accuse di “condotta inappropriata” formulate dalla stessa multinazionale. La testata newyorkese ha scritto che Rubin è solo uno dei tre alti dirigenti che Google ha coperto negli ultimi dieci anni dalle accuse di abusi sessuali.
La scorsa settimana, il ceo di Google, Sundar Pichai, ha inviato una nota interna al personale, in cui spiega che la compagnia ha adottato "una linea sempre più dura" per la condotta inappropriata sul lavoro e ha licenziato 48 persone, tra le quali 13 dirigenti negli ultimi due anni senza buonuscita.
Uno dei dirigenti accusati di tale comportamento nell'articolo del Nyt, Richard DeVaul si è dimesso martedì. Nonostante questo, i manifestanti dicono che, per ogni storia riportata dai media, ce ne sono "altre migliaia, ad ogni livello del gigante della Silicon Valley".
E il malcontento dei dipendenti continua a sobbollire. Anche perché quello che chiedono le donne va oltre lo stop alle molestie. Aspirano ad un cambiamento radicale e strutturale: parità di trattamento rispetto agli uomini da tutti i punti di vista.