Abbagliati dall’immigrazione, i cittadini occidentali meno abbienti non vedono il vero problema. Ovvero, il potere crescente delle mega corporation. È una situazione che va avanti da qualche decennio, ma negli ultimi anni la voracità delle multinazionali-monstre ha subito una rilevante accelerazione, aumentando la diseguaglianza e frenando la crescita economica. A questa conclusione giunge a sorpresa il Fondo Monetario Internazionale.
Altro che aumento della concorrenza come un po’ tutti avevano ipotizzato con l’avvento della globalizzazione. Secondo l’organizzazione internazionale, la distanza tra utili distribuiti ai soci e salari dei lavoratori continua a salire. La “novità” è che anche i consumatori, diventati prede prive di difese, sono sotto scacco. A tal punto che le imprese, forti della loro posizione, stanno investendo meno.
E qui sorge un altro problema. Dato che la ricerca e sviluppo è tra le variabili che incidono maggiormente sul Pil, le conseguenze sono facilmente prevedibili. Nella prima economia al mondo, ad esempio, l’economia va forte e la disoccupazione è scesa a livelli record, ma le retribuzioni dei lavoratori aumentano poco, solo intorno al tasso di inflazione.
Lo strapotere del capitale non finisce qui. La differenza fra prezzo applicato dalle imprese e costo di produzione è schizzata: +43 per cento dal 1980 al 2018. Si tratta di margini di profitto tipici di mercati oligopolistici. E questa dinamica non riguarda solo le Big Tech californiane: un po’ tutti i settori sono coinvolti. Altro che concorrenza perfetta. E laddove tracce di concorrenza si intravedono, spesso le imprese preferiscono acquisire gli “avversari” piuttosto che sfidarli. Anche perché a quel punto servirebbe ricerca e innovazione.