In questi ultimi dieci anni l’export ha funzionato come forma di difesa per le aziende italiane: chi è sopravvissuto alla crisi lo ha fatto grazie all’estero. Ecco perché l’Italia ha maturato tra i più elevati surplus manifatturieri.
Nonostante il baricentro produttivo si stia spostando verso l’Asia, per Gregorio De Felice, chief economist a Intesa San Paolo, le imprese italiane, anche se piccole, sono riuscite ad allungare il raggio verso i mercati esteri. Secondo la previsione di Prometeia-Intesa San Paolo, il saldo commerciale italiano nel 2023 vedrà più del 50% del fatturato realizzato all’estero.
Oggi però il mondo sta radicalmente cambiando: la geopolitica, infatti, è diventata un convitato di pietra dell’internazionalizzazione. Diventano, così, sempre più importanti gli accordi bilaterali. È in atto il cosiddetta transizione dalla globalizzazione alla regionalizzazione.
Secondo la bocconiana Alessandra Lanza, “ci stiamo muovendo verso uno scenario a blocchi del commercio mondiale, una rivalità già vista sui mercati delle materie prime. L’appetito cinese per il petrolio ha infatti costituito un incentivo all’autosufficienza energetica degli Stati Uniti. La rivalità oggi si è invece spostata sulle cosiddette terre rare: oggi Pechino produce il 71% di questi elementi chimici”.
E l’Europa? Deve trovare la propria dimensione partendo dall’assunto che il modello di sviluppo della prima economia europea, ovvero orientato all’export, sembra destinato ad entrare in crisi.