Se i profitti delle multinazionali vanno in paradiso

Ogni anno le multinazionali spostano dall’Italia verso i paradisi fiscali profitti per più di 24 mld di euro, togliendo dalle casse dello Stato circa 6 mld di gettito. A livello mondiale, solo nel 2016, sono stati trasferiti nei paesi a bassa tassazione più di 650 mld di dollari. Ma l’Ue e i governi nazionali non sembrano interessati a risolvere questo problema

Se i profitti delle multinazionali vanno in paradiso

Ogni anno, in virtù di un complicato sistema di elusione fiscale, le compagnie multinazionali spostano dall’Italia verso i paradisi fiscali più di 24 miliardi di profitti, secondo i dati di missingprofits.world. Una base imponibile che toglie alle casse dello stato circa 6 mld di euro di gettito fiscale.

Ideato da Gabriel Zucman, economista francese che si occupa prevalentemente di disuguaglianze economiche e paradisi fiscali, insieme a due ricercatori danesi, Thomas Tørsløv e Ludvig Wier, missingprofits offre un rilevante contributo nel dibattito sull’elusione fiscale, un fenomeno che ha fatto risparmiare alle multinazionali del mondo 200 mld di dollari nel 2016, con uno spostamento dei profitti nei paradisi fiscali di oltre 650 mld.

Dai dati emerge che le filiali estere delle multinazionali sono sistematicamente più redditizie delle compagnie locali in paesi a bassa tassazione, mentre si verifica il fenomeno opposto nei paesi ad alta tassazione. Per esempio, in Irlanda il rapporto profitti-salari delle compagnie multinazionali è dell’800%, mentre nel Regno Unito è del 26%. In altre parole, per ogni dollaro pagato ai dipendenti irlandesi ne corrispondono 8 di profitto per l’azienda, mentre per ogni dollaro pagato ai lavoratori britannici l’utile è pari solo a 0,26 centesimi.

E l’enorme differenza nel rapporto profitto-salari non si spiega però con una differenza in termini di produttività.

Il fenomeno resta così rilevante che nel 2015 e nel 2016, a livello mondiale, le multinazionali hanno spostato nei paradisi fiscali circa il 40% dei loro profitti. E il 35% dei montanti complessivi trasferiti proviene da paesi Ue, inclusa l’Italia.

Ma l’Ue e i governi nazionali non sembrano così interessati a risolvere questo problema.

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