Le narrazioni sull’istruzione sono contradditorie: qualcuno sostiene che gli italiani siano troppo istruiti e altri che lo siano troppo poco. La risposta è in alcuni semplici numeri. Nella popolazione italiana tra i 18 e74 anni, 41 persone ogni 100 hanno conseguito al massimo le medie inferiori, 42 un diploma di scuola media secondaria, 14 una laurea e solo 3 un titolo post-laurea (master o PhD).
L’evidenza empirica è così lampante e modesta al tempo stesso che, in questo caso, non rende così necessario metterla a paragone con quella di altri paesi europei, come Francia, Germania, e Regno Unito. Eppure, l’istruzione è la vitamina I, e come tutte le vitamine non la produciamo da soli, abbiamo bisogno di prenderla per tutta la vita, ma in dosi maggiori durante lo sviluppo, per avere una esistenza completa, un lavoro di qualità, compiere scelte oculate e governare i rischi che il mondo ci presenta. L’istruzione è come la salute: si apprezza di più quando manca.
Nonostante tutto, il livello formale di capitale umano sta comunque crescendo (anche) nel nostro Paese, coerentemente con un mondo più complesso, in cui conoscenze e competenze devono essere sempre adeguatamente manutenute. Tuttavia, i livelli attuali in Italia sono ancora troppo bassi e spesso risentono del contesto d’appartenenza. Investire in istruzione è una questione strategica per il Paese, al pari (o forse più) della dotazione infrastrutturale o dell’equilibrio finanziario.