Adesso tutti si indignano. Ma tra qualche giorno tutto tornerà a posto. Nel senso che tutto tornerà come prima. La morte di Satnam Singh è l’emblema di un sistema conosciuto da quasi tutti e che conviene a molti. Per anni ci siamo sentiti ripetere che gli immigrati rubano il lavoro agli italiani. Poi, tutto insieme, scopriamo che quei lavori non vengono rubati, sono semplicemente disponibili sul mercato perché solo chi è disperato può accettarli.
Non solo. Meglio se gli immigrati hanno anche la veste di irregolari, così può aumentare il livello di sfruttamento in termini salariali, di orario di lavoro, di condizioni generali vergognose. Il fenomeno riguarda tutto il paese; non è una prerogativa esclusiva, come molti credono, del Mezzogiorno. Certo, il caso dell’agro-pontino, se vogliamo, ha dell’incredibile proprio perché il tutto avviene a pochi chilometri da Roma, dove tutti sanno cosa accade in quelle campagne bonificate durante il ventennio e dove, in parte, quella terra piana sembra rimasta.
Se questi lavoratori arrivassero tutti regolarmente sarebbe più difficile applicare condizioni estreme, in cui il fatto di essere sottopagati è solo un elemento del quadro dell’orrore a cui sono sottoposte queste persone dalla dignità svilita. Va detto che, nel caso di Singh, era entrato in Italia regolarmente, salvo poi tornare nell’invisibilità dopo la scadenza del contratto, che lo pseudo-imprenditore agricolo ha ben pensato di non rinnovare, facendolo (insieme alla sua famiglia) scivolare nell’oblio dell’irregolarità.
Alla fine probabilmente pagherà uno, il datore di lavoro di Singh (ed è giusto che sia così). Ma basterà per educarli tutti?