“La scelta di prolungare o meno il blocco dei licenziamenti di sessanta giorni, da fine giugno o da fine agosto, non è decisiva. Anche se si è reso necessario in questi mesi di pandemia, il blocco è avvenuto in un mercato del lavoro colabrodo. È l’effetto del precariato che ha provocato una caduta degli indici di protezione del lavoro del 17% per i licenziamenti collettivi e del 36% per i contratti temporanei”. Lo sostiene Emiliano Brancaccio, economista dell’università del Sannio.
Bankitalia tuttavia sottolinea che sono stati salvati grazie al blocco almeno 200 mila posti di lavoro. “A livello macroeconomico non è una grande cifra. Nel complesso, la perdita di posti di lavoro è fino a quattro volte superiore.”
Dunque – secondo Brancaccio – la scelta del blocco ha più un valore ideologico che altro: “Perché è in corso una battaglia ideologica in nome della solita vecchia tesi: qualsiasi vincolo legislativo va rimosso per favorire il processo di distruzione creatrice del libero mercato. Questa teoria è stata sostenuta anche da Draghi, al vertice di Porto, quando ha dichiarato che la legislazione del lavoro protegge i garantiti e pregiudica l’efficienza e la crescita.”
In realtà, questa idea è stata smentita dall’evidenza empirica. “L’88% dei paper dell’ultimo decennio ha smentito l’idea che precarizzare il lavoro favorisca l’occupazione. È un risultato talmente consolidato che negli ultimi anni è stato riconosciuto persino da istituzioni liberiste come Ocse, Banca mondiale e Fmi.”
Ecco allora che dopo trent’anni e più di precarizzazione totale è difficile immaginare che la stessa classe dirigente possa pensare a soluzioni radicalmente diverse. “Si resta attestati alle solite politiche – aggiunge -. Invece di innalzare tutte le protezioni si tende a precarizzare i lavoratori a tempo indeterminato per renderli simili alle partite Iva e ai temporanei, che ne hanno pochissime. È una gara al ribasso che non favorisce nemmeno la crescita dell’occupazione.”