I bassi salari sono la cura o la malattia?

Il governatore Visco sulla possibilità di aumentare i salari: “C’è il rischio di un circolo vizioso con l’inflazione”. Ma nel dibattito in corso emerge che sono i lavoratori, e non le aziende, a pagare lo shock dei prezzi che non è causato dall'aumento dei salari ma da quello dei profitti, dalla crisi delle catene del valore e dalle speculazioni sulle materie prime e sull'energia

I bassi salari sono la cura o la malattia?

Con l’inflazione che continua a salire, i governi e le banche centrali si accingono a imporre una frenata alle politiche espansive che in questi anni hanno inondato di liquidità a basso costo i mercati, anche se a beneficiarne sono state soprattutto le banche.

A incombere non è solo l’incremento dei prezzi al consumo, ma anche una crescita fortemente rallentata. La sintesi si traduce in stagflazione, ovvero il combinato di inflazione e stagnazione economica.

Uno scenario perfetto per tornare ad agitare in Italia l’annosa questione salariale, in un quadro che vede l’Italia come l’unico paese europeo nel quale i salari negli ultimi 30 anni anziché salire sono scesi e tra i pochissimi Stati a non prevedere un salario minimo legale.

C’è poi chi vuole abolire il cosiddetto reddito di cittadinanza: Italia Viva ha recentemente proposto un referendum. Anche in questo caso la comparazione con gli altri paesi europei è sconcertante: uno strumento di sostegno al reddito di ultima istanza (tra questi rientra il reddito di cittadinanza) è previsto praticamente in tutti paesi europei. E non da ieri: basti pensare che in Francia il Reddito minimo di inserimento è stato introdotto alla fine degli Ottanta.

Detto ciò, lo scenario stagflattivo da fiato alle trombe di chi si oppone a qualunque richiesta di aumento salariale, adducendo come causa la grave crisi internazionale sia a livello geopolitico che economico. L’autorevole governatore di Bankitalia Ignazio Visco vede “il rischio di un circolo vizioso con l’inflazione”, nel caso si aumentino le retribuzioni. Nel dibattito in corso sta tuttavia emergendo che sono i lavoratori, e non le aziende, a pagare lo shock dei prezzi che non è causato dall’aumento dei salari ma da quello dei profitti, dalla crisi delle catene del valore e dalle speculazioni sulle materie prime e sull’energia.

Occorre, inoltre, considerare che la bandiera della transitorietà degli incrementi inflattivi, sventolata a lungo e fino a poche settimane fa dalle principali banche centrali al mondo, è stata ormai definitivamente ammainata, ma nessuno sa fino a che punto i prezzi continueranno a salire e per quanto tempo resteranno mediamente alti.

Nel frattempo si è capito che i bassi salari non sono la cura ma la malattia e il problema di oggi è proprio l’eccesso di moderazione salariale, specialmente in una fase come quella in cui stiamo entrando in cui le catene globali del valore tendono ad accorciarsi e la valvola delle esportazioni non abbastanza grande da compensare la dinamica stagnante dei consumi interni. In tale contesto, l’imminente stretta monetaria della Bce e il conseguente rallentamento dell’economia potrebbero peggiorare le cose per gli stipendi italiani, già mediamente bassi. Invece, servirebbero come il pane nuovi strumenti di politica economica per far crescere i salari, soprattutto quelli medio-bassi.

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