
I risultati chiave dello studio “Critical Technology Tracker” dell’Australian Strategic Policy Institute sono sorprendenti. Si tratta di un progetto che ha monitorato lo sviluppo di 64 tecnologie critiche che abbracciano la difesa, lo spazio, l’energia, l’ambiente, l’intelligenza artificiale, la biotecnologia, la robotica, la cibernetica, l’informatica, i materiali avanzati e le aree chiave della tecnologia quantistica.
Fornisce un indicatore di primo piano delle prestazioni di ricerca, degli intenti strategici e delle potenziali capacità scientifiche e tecnologiche future di un Paese. Nel documento si nota la preoccupazione per il primato cinese e per il fatto che un regime “autoritario” sia in vantaggio rispetto alle “democrazie occidentali”.
Ciò detto, i dati danno una dimensione di questo vantaggio comparato: se tra il 2003 e il 2007 gli Stati Uniti erano leader mondiali in 60 dei 64 settori coperti dal Critical Technology Tracker contro i 3 totalizzati dalla Cina, nel 2023 la Cina era diventata leader in 57 aree.
Un risultato eccezionale, che riflette la capacità cinese di produrre un numero di laureati nel comparto Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) dalle 8 a 15 volte superiore agli Stati Uniti a fronte di una popolazione di 4 volte maggiore.
Il documento si conclude con una serie di raccomandazioni per “recuperare” il gap con la Cina. L’investimento in formazione, ricerca, università e scuola è ovviamente considerato strategico.
Sembra tuttavia che i governi occidentali, sicuri del loro primato scientifico e tecnologico, abbiano ridotto il finanziamento a questo settore di importanza strategica e si ritrovino ora in una situazione di grande difficoltà: per recuperare il distacco occorre un investimento che copra l’arco di alcuni decenni.