Cosa ci sarebbe di meglio per un ministro del Lavoro che disporre di previsioni affidabili sulle competenze che verrano richieste in futuro sul mercato? Sapere cosa sarà ricercato e cosa no può aiutare in modo determinante a progettare le politiche su occupazione, istruzione e formazione. Ebbene, c’è un rapporto pubblicato nei giorni scorsi dall’agenzia europea Cedefop che contiene questi dati aggiornati, ma non sembra aver riscosso un grande interesse.
Secondo le analisi Cedefop, quattro su cinque dei nuovi posti di lavoro da qui al 2030 richiederanno un alto livello di competenze. Saranno sempre più richiesti lavoratori altamente qualificati. Anche quelli a bassa specializzazione cresceranno, ma a un ritmo lento. Invece, le posizioni in cui è richiesto un livello di competenze medio sono destinate a ridursi. L’invecchiamento demografico, tuttavia, evidenzia un paradosso: anche nelle occupazioni meno richieste si osserverà una crescita della domanda, seppur lieve.
Ci sarà, pertanto, sempre più bisogno di laureati. E la buona notizia è che il livello di istruzione cresce, anche se non abbastanza. La quota di laureati nella classe di età 30-34 anni che nel 2017 avevano completato un percorso di istruzione terziaria è aumentato rispetto al 2002 in tutti gli Stati. La media è passata dal 23,6% al 39,9%. L’Italia è penultima con il 26,9%. Pertanto, la strada appare ancora lunga per poter soddisfare i 4/5 delle richieste.
Oltre al disallineamento tra domanda e offerta di lavoro e alla mera distruzione di posti di lavoro, le previsioni Cedefop mostrano che il cambiamento tecnologico, oltre ad accelerare il passaggio ai servizi, rischia soprattutto di aumentare la polarizzazione sul mercato del lavoro tra high-skilled e low-skilled. Potrebbe, così aumentare la disuguaglianza e creare una frattura più ampia tra lavori ad alta competenza e adeguatamente remunerati, rispetto a quelli a bassa qualificazione, con retribuzioni modeste e fortemente precarizzati.
La vicepresidente del Cedefop, Mara Brugia, ha spiegato che "l'obiettivo delle previsioni non è quello di prevedere il futuro, ma di aiutarci a fare scelte consapevoli per evitare di decidere di investire nell'istruzione e nella formazione al buio”. Peccato che le politiche strutturali, che sono poi quelle che contribuiscono concretamente alla crescita economica, hanno effetto nel lungo periodo e per questo sono sempre meno interessanti agli occhi della classe politica.