Contrariamente ad un’idea piuttosto diffusa, l'introduzione del salario minimo a livello nazionale non ha determinato in Germania l’aumento della disoccupazione. È quanto sostiene uno studio della London School of Economics and Political Science.
Nel gennaio 2015 il salario minimo federale è stato introdotto in tutti i 16 stati federali della più grande economia europea: da quel momento le imprese tedesche devono riconoscere ai lavoratori almeno 8,50 euro l'ora.
I ricercatori hanno concluso che le paure connesse ad un possibile aumento della disoccupazione e della migrazione interna si sono rivelati infondati, in quanto i salari dei lavoratori erano probabilmente inferiori al tasso di mercato. Il sospetto è spiegato dal fatto che le imprese hanno assorbito il più elevato costo della manodopera senza ricorrere a licenziamenti.
Anche nelle regioni dove i salari sono più bassi, il salario minimo è stato introdotto senza causare modifiche ai livelli occupazionali. Ciò suggerisce che i lavoratori venivano sottopagati. L'esperienza tedesca sembra, così, sfidare la teoria del mercato del lavoro secondo cui l’incontro tra domanda e offerta di lavoro garantisce che i salari siano fissati ad un un livello di equilibrio in base alla produttività.