Un gruppo di amministratori delegati che rappresentano alcune delle aziende più importanti della Svezia, tra cui il gigante della vendita al dettaglio H&M e il produttore di apparecchiature per telecomunicazioni Ericsson, hanno alzato la voce e puntato l’indice contro l’Agenzia governativa sui migranti rea di aver rifiutato di estendere i permessi di lavoro ad alcuni immigrati, provocandone l'espulsione.
Ad esempio Hussein Ismail, un ingegnere libanese di una società di biotecnologie da lui fondata nel 2012, deve tornare nel suo paese di origine insieme a sua moglie e ai suoi figli. La colpa è di essersi autoridotto per tre mesi lo stipendio nel 2015 per consentire alla sua azienda di restare sul mercato.
Le severe leggi svedesi contro il dumping sociale, infatti, stabiliscono che se un lavoratore straniero riceve uno stipendio inferiore a un contratto collettivo, allora quel dipendente deve essere rispedito al paese di origine.
Un’impostazione rigida che non sembra ben adattarsi all’attuale contesto svedese, che vede la disoccupazione al 6,5% e le imprese alla ricerca di lavoratori altamente qualificati. E questo vale in particolare per ingegneri, insegnanti e infermieri.
Jenny Lindén Urnes, imprenditore dell’acciaio, ha dichiarato che le espulsioni sono “un’assurda soap opera che indebolisce la competitività della Svezia”.