Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha prima minacciato il Messico di imporre nuovi dazi e poi ha sospeso l’idea in seguito all’intesa raggiunta dalle due diplomazie. In pratica, il paese centroamericano schiererà 6.000 soldati della Guardia Nazionale per tamponare l’immigrazione verso Nord.
Ma come stanno le cose tra i due paesi? Il Messico ha esportato merci per 346,5 miliardi di dollari nel 2018. Ciò significa che una tariffa del 5% (ipotizzata da Trump) su tali prodotti avrebbe comportato un aumento per le casse statali americane pari a 17 miliardi di dollari. Ma non è tutto oro ciò che luccica.
Gli Stati Uniti, come la maggior parte delle economie avanzate, ha un problema non di poco conto: lo strutturale declino demografico. Già oggi circa 8 milioni di immigrati messicani hanno un’occupazione negli Usa (corrispondono al 5% della forza lavoro statunitense). E uno studio per il settore lattiero-caseario rileva che, se si riducesse del 50% il numero di lavoratori stranieri, circa 3.500 allevamenti chiuderebbero, portando a un calo della produzione e ad un aumento dei prezzi del latte di circa il 30%. Invece nel caso estremo di interruzione di nuovi ingressi di immigrati, secondo il Pew Research Center, la forza lavoro complessiva degli Usa si ridurrebbe da 173 milioni nel 2015 a 166 milioni nel 2035.
La Casa Bianca dovrebbe poi tenere conto di un altro fattore. Se il governo pensa di alzare barriere al confine, alcuni colossi statunitensi stanno al contrario valutando se varcarle. Il motivo è svelato dai numeri. Mentre i lavoratori messicani negli Stati Uniti ricevono una retribuzione media mensile pari a 1.870 dollari, il salario medio messicano non supera i 300 dollari. E il problema non è solo teorico. Caterpillar, General Motors e Ford studiano possibili delocalizzazioni verso Sud.