Il settore tessile in Etiopia – il secondo paese più popoloso dell’Africa con 105 milioni di abitanti - cresce a ritmi significativi. Il governo prevede che le esportazioni del comparto, che attualmente valgono 145 milioni di dollari l'anno, salgano a circa 30 miliardi.
Un obiettivo tuttavia che appare irrealistico, se non altro perché bassi salari hanno portato a una scarsa produttività, a ripetuti scioperi e a un esasperato turn over (le fabbriche sostituiscono in media tutti i loro dipendenti ogni dodici mesi).
Secondo un rapporto della New York University, i lavoratori etiopi con 26 dollari al mese sono tra i meno retribuiti al mondo. E, paradossalmente, sono dipendenti di marchi globali come Guess, H&M, Calvin Klein, Gap, Tommy Hilfiger, e JC Penney che nel paese africano hanno delocalizzato i loro stabilimenti.
L'Etiopia, che mira a diventare il principale centro manifatturiero del continente, ha sedotto gli investitori facendo passare il messaggio che sarebbe stato sufficiente riconoscere ai lavoratori meno di un terzo dei salari offerti in Bangladesh. E si consideri che per lo stesso lavoro i kenyoti sono pagati 207 dollari al mese e i cinesi 326.