Il prezzo del petrolio ha toccato il livello più alto da novembre 2014, raggiungendo gli 80 dollari al barile. La causa sono i timori geopolitici. E le preoccupazioni, per ora, sono rivolte perlopiù verso le economie che stanno sperimentando un’alta inflazione. Come, ad esempio, il Regno Unito. Barclays Bank ha, intanto, aumentato la sua previsione per il prezzo medio di quest'anno da 62 a 73 dollari al barile e altri intermediari finanziari prevedono che il petrolio potrebbe toccare quota 100 l'anno prossimo.
L’Iran esporta 2,4 milioni di barili al giorno di petrolio pari al 4% del mercato globale. E la storia non dimentica. Quando nel 2012 sono state imposte sanzioni, le esportazioni dell'Iran sono diminuite di circa 1,2 milioni di barili al giorno. “Ma è troppo presto per dire cosa succederà questa volta”, è il commento contenuto in un rapporto dell’International Energy Agency.
Lo studio dell’organizzazione argomenta che né il Venezuela né il Messico possono aumentare la produzione a breve termine. Nel paese guidato da Maduro il declino della produzione sta accelerando. I dati di aprile mostrano che il Venezuela è sceso sotto l’obiettivo previsto dall'Accordo di Vienna di 550 mila barili al giorno.
Ma è anche vero che alcuni degli 1,5 milioni di barili/giorno, tagliati da altri paesi nell'ambito dell'accordo di Vienna, potrebbero essere resi disponibili per rifornire i mercati. Il condizionale è d’obbligo visto che, nonostante i prezzi siano aumentati costantemente sotto le restrizioni, gli stati petroliferi si sono dimostrati compiacenti e non hanno aumentato la produzione. Cosa che, invece, si è ora resa disponibile a fare l’Arabia Saudita. Nel frattempo, il prezzo del greggio è aumentato di quasi il 75% da giugno 2017. Sarebbe straordinario se un salto così consistente non influisse sulla crescita della domanda. Questo è lo scenario.