La Russia e l'Arabia Saudita hanno prima appoggiato il taglio alla produzione di petrolio, allo scopo di aumentarne il prezzo e, poi, hanno cambiato idea, decidendo di sostenere l’aumento graduale della quantità prodotta nella seconda metà del 2018.
Oltre alle motivazioni politiche, emergono due fatti. Primo, aver superato la soglia critica degli 80 dollari. Secondo, la dichiarazione dell'Agenzia internazionale per l'energia secondo cui l'Opec e i suoi alleati hanno già raggiunto l’obiettivo di ripristinare le scorte, che erano state intaccate nelle scorse settimane. L’organizzazione che raccoglie i produttori di greggio sa che la missione è compiuta, ma non può dirlo perché la situazione del mercato è instabile e non è ancora chiaro cosa accadrà nella seconda metà del 2018.
In un quadro così incerto, qual è il prezzo “giusto” per il petrolio? Il presidente russo, Vladimir Putin, ha sostenuto che 60 dollari al barile sia equo. Sulla stessa lunghezza d’onda si posiziona il ministro iraniano, Bijan Zanganeh, mentre il presidente degli Stati Uniti si è dimostrato preoccupato dopo il superamento dei 75 dollari. Anche la Cina, l'India e la Corea del Sud si sono lamentati con l'Arabia Saudita dopo che i prezzi hanno superato gli 80 dollari.
A ciò occorre aggiungere che la politica e i consumatori, spesso, non tengono conto del quadro generale. E non riflettono sul fatto che prezzi particolarmente bassi oggi potrebbero tradursi in aumenti rilevanti nel prossimo futuro: se fossero a un livello tale da mantenere investimenti adeguati nel comparto - i consumatori ne trarrebbero beneficio, ma nel lungo periodo.
I paesi aderenti all’Opec si incontrano il 23 giugno per discutere il futuro dell'alleanza e l'attuale accordo sui tagli. All'orizzonte si intravede un unico possibile scenario. La Russia vuole abbassare i prezzi del petrolio e l'unico modo per farlo è aumentare la produzione. Forse, 70 dollari potrebbe rappresentare in questa fase un livello di equilibrio, seppur precario.