Lo scorso anno Stati Uniti e Gran Bretagna hanno aumentato in modo significativo le importazioni di greggio dalla Russia. Il motivo va ricercato nelle sanzioni statunitensi contro Iran e Venezuela che di fatto hanno finito per aiutare Mosca. Un contributo significativo (in termini di maggiori acquisti) è stato dato anche dalla Turchia.
Così, nell'ottobre 2019, la Russia è diventata il secondo maggior fornitore di petrolio e prodotti derivati negli Stati Uniti: l’esportazione di greggio è cresciuta di quasi 2,4 volte rispetto all’anno precedente, passando da 900 milioni a quasi 2,2 miliardi di dollari.
Eppure, si potrebbe giustamente obiettare, che gli Stati Uniti hanno raggiunto lo scorso anno l’autosufficienza energetica. In realtà con quest’ultimo concetto si vuole soltanto intendere che la quantità di energia prodotta in un dato tempo sarebbe sufficiente per coprire il fabbisogno. Ma cio’ non significa che il Paese (in questo caso gli Usa) decida di interrompere l’interscambio commerciale nel settore energetico (importazioni ed esportazioni) con il resto del mondo.
Fino ad arrivare al paradosso che il petrolio della Rosneft, il colosso venezuelano caduto sotto la scure di Washington, va in Russia per poi finire, in parte, proprio negli Stati Uniti. Secondo la banca di investimento Caracas Capital, lo scorso dicembre sarebbero state ben 37 le petroliere russe arrivate negli Stati Uniti, 8 delle quali avrebbero trasportato prodotti petroliferi della Rosneft.