“Al G20 si è raggiunta un’intesa sul contenimento del riscaldamento globale entro 1,5 gradi, ma una cosa è dirle queste cose, un’altra è stabilire concretamente una road map; altrimenti fra cinque anni ci si ritrova per constatare l’impossibilità del risultato. Se non si realizza un piano dettagliato, e condiviso dalle nazioni, è difficile pensare che la promessa sia mantenuta.” È scettico il Premio Nobel per la Fisica Giorgio Parisi.
Le posizioni tra i grandi paese restano distanti.
“Questa è la realtà. Si tratta di economie nazionali in concorrenza fra di loro. Il problema fondamentale è frenare queste economie per rallentare le emissioni e farlo con il consenso delle popolazioni. Si è poi parlato di cento miliardi di dollari all’anno da garantire ai Paesi in via di sviluppo per aiutarli nell’acquisire tecnologie energiche non inquinanti. Si tratta di noccioline per i Paesi ricchi, ma ancora molti di quei soldi non sono stati erogati. Si torna sempre al ‘prometti tanto e mantieni poco’.”
Il ricorso alle energie rinnovabili non basta per tagliare le emissioni di gas serra?
“È chiaro che bisogna far ricorso a tante risorse. A cominciare dal risparmio. Costruiamo mega-città verso le quali si incolonnano ogni giorno code di automobili. È evidente che occorre trovare il modo di consumare meno aumentando i servizi pubblici. Le nostre case devono essere adattate ad una maggiore efficienza energetica e nelle aziende è necessario introdurre processi industriali meno dispendiosi in termini di energia. Bisogna convincere i cittadini, cominciando ad esempio ad accettare di più il car sharing per muoversi.”
Nucleare: sì o no?
“Sulla questione bisogna guardare al rapporto danni-benefici e tutto dipende dal Paese. Se Chernobyl fosse stata in Val Padana, con una popolazione molto superiore a quella zona dell’allora Urss, avrebbe provocato milioni di morti. Per la quarta generazione degli impianti nucleari a fissione di cui si parla perché più sicuri, adesso esistono solo prototipi che devono dimostrare la loro qualità.”