Appena 100.000 barili al giorno. Quello appena deciso dall’Opec+ è un aumento con il contagocce, una quantità sufficiente a soddisfare per appena 86 secondi la domanda globale. Il cartello dei paesi produttori di petrolio aveva annunciato un incremento delle vendite dopo la visita del mese scorso in Arabia Saudita di Joe Biden e in molti si sarebbero attesi uno sforzo maggiore per dar seguito all’impegno della Casa Bianca di tenere sotto controllo il prezzo dei carburanti.
Invece, il ritocco è quasi insignificante e avrà ripercussioni negative sull’inflazione e sulla crescita mondiale. L'Opec+ (che include 13 Stati oltre alla Federazione russa) in una nota ha sottolineato che non si tratta di una decisione arbitraria, ma che “la capacità produttiva in eccesso è gravemente limitata” a causa del “cronico sotto-investimento nel settore” e che questo impone “grande cautela nella risposta per evitare strozzature dell’offerta”.
Sembrano quindi per il momento falliti gli sforzi portati avanti dal governo statunitense per contenere il prezzo dei combustibili dopo che l’invasione della Ucraina da parte della Russia e le conseguenti sanzioni internazionali hanno fatto schizzare alle stelle il costo dell’energia.
A guadagnarci nel tenere alto il prezzo del greggio, tuttavia, non sono soltanto i paesi produttori. Le principali società petrolifere mondiali stanno macinando numeri da record, segnando profitti considerevoli. Ad esempio, Shell ha registrato un aumento dell’utile nel secondo trimestre del 2022 pari a +529%. Sono state rilevanti anche le performance messe a segno da Exxon (+380%), Chevron (+377%), e BP (+303%). E nessuna di queste società è araba o russa.