Dal 2014 le autorità mauriziane hanno puntato forte sull’economia "blu" dell’Oceano Indiano: c'è un Ministero apposito che si occupa di questo. I risultati si vedono tanto che c'è chi parla di un "miracolo" delle Mauritius.
C’è un articolato piano di diversificazione economica che comprende acquacoltura, pesca, ristrutturazione dei porti, nuovi servizi marittimi, esplorazione offshore e condizionamento dell’aria di mare. Un piano strategico che nel 2017 ha portato al lancio di una roadmap di azioni mirate.
Fulcro della strategia di crescita è la pesca, con 140mila tonnellate di tonno che ogni anno generano un reddito di 330 milioni di euro: da vecchia attività in dismissione è stata ripresa in questi ultimi anni e, grazie agli incentivi dello Stato, tra il 2014 e il 2018 sono diventati operativi altri 19 pescherecci battenti bandiera mauriziana. L’obiettivo è di portare la flotta nazionale a 50 barche entro il 2021.
Gli allevamenti intensivi marini potrebbero produrre 25 mila tonnellate di pesce entro il 2025 e sono già stati identificati 21 siti compatibili. Sui media locali, tuttavia, divampano le polemiche, perché l’impatto dell’acquacoltura sui delicati ecosistemi marini della zona potrebbe rivelarsi troppo inquinante e favorire la proliferazione degli squali.
Non è soltanto un'economia ittica. Le acque territoriali hanno un’estensione notevole (2,3 milioni di km quadrati) e il governo delle Mauritius vuole intraprendere le ricerche per l’estrazione di petrolio e gas. Ma anche di metalli rari depositati sul fondo dell’oceano. Inoltre, c’è il progetto di utilizzare le acque fredde delle profondità dei mari per creare aria condizionata e raffrescare il centro della capitale Port Louis. Così l'economia mauriziana prova a crescere di più, diversificandosi.